In questo momento storico cruciale per la storia delle immagini, agli albori di un’epoca dove qualcuno vorrebbe lasciare alle macchine e all’intelligenza artificiale il compito di costruire il bagaglio iconografico del nostro futuro, la pittura, paradossalmente, sembrerebbe il medium forse più adatto a reagire a una simile situazione e a fornire inedite capacità di reazione e di riflessione di fronte al bozzolo iconico che avvolge la nostra vita immersa nelle reti digitali.
Evita Andújar appartiene di diritto alla recente generazione di pittrici e di pittori che si confrontano in modo innovativo e coerente con gli stimoli visivi e intellettuali provenienti dalla rete e, in particolare, dai social network, lavorando con coerenza e rigore su alcune questioni centrali che segnano il panorama del nostro presente e di quello che sarà il nostro futuro.
È molto interessante, peraltro, notare come in questo nuovo contesto delle arti visive si trovino molte pittrici che lavorano attraverso visioni differenti nella loro complessità e nella loro forza incisiva.
Andújar possiede oltretutto il vantaggio di un lavoro rigoroso e strutturato su una salda capacità stilistica derivante dalla sua lunga esperienza nel campo del restauro (spesso in cantieri molto importanti) e dai suoi studi compiuti in Spagna con Antonio López García, uno dei maggiori pittori viventi, di cui non sembra essere un’epigona ma del quale sembra avere proseguito le riflessioni sul dialogo attivo tra pittura e fotografia.
Non a caso, l’artista si serve di una stesura pittorica che riesce a unire l’esattezza alla rapidità, la fluidità al nitore dell’immagine, concentrando con efficacia l’architettura e la pulsazione cromatica dei suoi quadri, declinati sempre con una sintetica capacità di captare gli elementi portanti della stesura coloristica che costruisce la forma in modo nitido e vibrante.
Andújar usa dunque il suo talento pittorico per la sua ricerca ready-made sull’universo di immagini che si accumulano nella rete, scegliendo con cura fotografie, tratte in particolare da Instagram, di ragazze sconosciute che poi manipola e trasforma con i pennelli e il colore sulla tela.
La pittrice sfida con intelligenza la banalità di certe immagini e le trasforma in un approfondimento che ha la forza riservata alle opere d’arte e alla loro capacità speciale di penetrare e di interpretare le sfaccettate realtà del mondo che condividiamo.
Questi dipinti hanno sono contraddistinti difatti da un’apparente felicità cromatica, collegata alle loro fonti di provenienza, che Andújar riesce a coagulare nelle sue traslucide tessiture pittoriche che però lasciano trapelare un evidente senso di inquietudine, un elemento stridente che insidia la leggerezza e il narcisismo delle (auto)rappresentazioni che si susseguono su Instagram.
Pertanto, l’artista, deliberatamente, ruba i selfie delle ragazze delle sue tele, ma la sua operazione però non è di semplice e banale saccheggio e la sua pittura ottiene lo scopo di dare una dimensione contemporanea al tema secolare del doppio, di un alter ego possibile che si sovrappone alla nostra personalità.
Le giovani donne di queste opere sono infatti colte nella loro dimensione privata e sdoppiate, come in un rispecchiamento o, meglio, un riverbero del loro volto, che riecheggia nelle opere come una sorta di (voluto) disturbo di quella perfezione che le foto originali avrebbero voluto trasmettere.
Il senso di questa ricerca sembra dunque quello di dare forma e significato allo sdoppiamento delle nostre vite, sospese tra realtà e virtualità, in una fusione dove la (presunta?) verità della “vita reale” sembra smarrirsi spesso nello spazio della rete e dove le molte realtà possibili aumentano a dismisura in un labirinto infinito di rappresentazioni.
L’Io e l’Ombra si affiancano allora nel teatro degli autoritratti rubati e manipolati, le personalità si confondono e si moltiplicano spingendoci a chiederci quali siano le identità e le alterità di questi quadri, se le persone che ci osservano esistano davvero o se siano solo ologrammi proiettati nei social network.
L’opera di Andújar ottiene però un risultato ulteriore e più profondo, quello di rivelare gli enigmi che si nascondono dietro i selfie rubati, di donare una dignità e una presenza visiva a immagini altrimenti destinate a disperdersi in pochi minuti, a rallentare il tempo dei pixel che formano quelle foto rinchiudendolo nel corpo fluido della pittura, trasformando l’effimero in duraturo e scoprendo la poesia segreta e privata delle minime esistenze quotidiane.